I sintomi dell’autismo infantile

Sintomi autismo infantile

È possibile individuare i sintomi più precoci dell’autismo infantile?

I sintomi dell’autismo infantile non sempre si manifestano dalla nascita ma si evidenziano ora gradatamente ora bruscamente nei primi due anni di vita in quanto il bambino o non raggiunge le tappe di sviluppo attese o manifesta un improvviso arresto di esso. Soprattutto quando non è accompagnata da danni neurologici o genetici, la patologia autistica non è facile da evidenziare, in quanto spesso confusa con i fisiologici ritardi nello sviluppo; inoltre nell’attesa della ripresa spontanea del processo evolutivo spesso si perde del tempo preziosissimo in quanto l’intervento psichiatrico e psicologico è molto più efficace se viene fatto precocemente.

Oggi sappiamo che prima dell’insorgenza della patologia autistica (e non solo quella in quanto la stessa valutazione può essere fatta per le depressioni infantili o altri blocchi o disarmonie nello sviluppo) possiamo individuare, nel bambino di età compresa tra i due mesi e due anni, lo stato di stress psicobiologico che lo porta a mettere in atto la difesa patologica del ritiro.

I bambini piccoli, non avendo la capacità di parlare, esprimono il loro disagio emozionale attraverso il corpo e, quando non possono adattarsi all’ambiente che viene vissuto come non responsivo o intrusivo, abbassano in modo più o meno marcato la loro capacità di apertura sociale e si ritirano dal troppo doloroso contatto con il mondo.

Lo stato di ritiro, in inglese “freezing” (congelamento), è fisiologico quando il bambino non ha ancora raggiunto i due mesi di età o è stanco e sta per addormentarsi o quando è malato, ad esempio ha febbre, otiti o altre sindromi dolorose. In assenza delle suddette condizioni esso è il primo allarmante segnale di un disagio emozionale del bambino che, se non capito e curato può sfociare in patologie psichiche. Le più frequenti sono il ritardo, le disarmonie o il blocco nell’acquisizione delle competenze motorie, intellettive o linguistiche e sociali sino ad arrivare all’autismo.  Se invece viene colpita la sfera emotiva in conseguenza di un ritiro prolungato il bambino sviluppa o la depressione infantile o un incontenibile stato di irrequietezza che più avanti nel tempo può sfociare in ADHD. Se da ultimo il disagio viene espresso nel corpo il bambino sviluppa malattie psicosomatiche (ad esempio l’anoressia del lattante).

I bambini ritirati hanno il volto inespressivo, poco mobile, triste non guardano con interesse l’ambiente che li circonda e, chiusi in un loro mondo, non stabiliscono il contatto oculare con l’osservatore; la loro attività corporea è ridotta, se non assente e spesso sono immobili con un’attività stereotipata e automatica a livello delle mani o con continui gesti di autostimolazione di parti del corpo. Spesso sono affetti da un pianto continuo ed inconsolabile per esprimere la loro rabbia e disperazione o al contrario, se hanno perduto la speranza di essere ascoltati dall’adulto, anche la normale vocalizzazione è assente.

La scarsa sintonia con l’ambiente fa sì che questi bambini non reagiscano agli stimoli sia piacevoli che spiacevoli e, nei casi di ritiro grave, nemmeno alle iniezioni quando ad esempio, vengono sottoposti ai vaccini. La mancanza di reazione agli stimoli si associa ad una difficoltà ad entrare in relazione con l’osservatore, di conseguenza questi bambini non mostrano curiosità, piacere, disagio nei confronti delle persone presenti nell’ambiente e l’angoscia dell’ottavo mese, descritta da Spitz è in essi totalmente assente. Infine in questi bambini manca la caratteristica fondamentale dei neonati e di tutti i cuccioli ossia suscitare attrazione e seduzione in tutte le persone che li contattano. Per cui tali bambini non suscitano piacere e si tende a dimenticarli. Anzi se il ritiro è grave si ha l’impressione di essere tenuti a distanza da questi bambini che vivono in un loro mondo irraggiungibile.

Il ritiro non è una patologia strutturata ma una difesa patologica, ossia una modalità di adattamento ad un ambiente non sintonico che l’individuo mette in atto per garantirsi la sopravvivenza. È quindi suscettibile di rapida regressione e cambiamento se le condizioni ambientali si modificano e tornano ad essere favorevoli.  Fondamentale, quindi, è, in un’ottica di prevenzione del disagio psichico nella età evolutiva ed in particolare nella prima infanzia, individuare e smontare tale difesa, nella sua forma sia lieve che media o grave, per rimettere in moto il processo evolutivo e di socializzazione bloccato.

A tale scopo Guedeney e coll. hanno costruito e validato in Francia l’ADBB (ALARM DISTRESS BABY SCALE) scala che, basandosi sugli item comportamentali sopra descritti, valuta e misura lo stato di ritiro del bambino. Essa è nata per offrire ai pediatri durante i controlli di salute e a tutti gli operatori che vengono in contatto con il bambino (educatrici di asili nido, assistenti domiciliari, assistenti di ludoteche) uno strumento rapido ed efficace per reperire lo stato di sofferenza psico-fisica del bambino.

L’importanza e l’efficacia di questo strumento preventivo sono cosi grandi che la scala si è rapidamente diffusa in tutto il globo ed è stata validata in numerosi paesi (Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca, Portogallo, Argentina, Brasile e cosi via).

La validazione italiana della scala è stata fatta da noi (De Rosa, Maulucci, Maulucci) insieme ai Pediatri (Currò, Focarelli) al Policlinico Gemelli di Roma e durante questo lavoro ci rendemmo conto come il ritiro del bambino, escludendo le patologie organiche, spesso si correlava alla depressione postpartum della madre (DPP).

Numerosi studi hanno messo in rapporto l’insorgenza del ritiro con un’alterazione dell’interazione madre bambino e da qui sono sorti numerosi progetti in tutta Europa miranti a sostenere la coppia madre-bambino nei primi due anni di vita e ad operare perché l’uso della scala venga appresa da un numero sempre maggiore di pediatri e di altri operatori sanitari e socioassistenziali della prima infanzia. La segnalazione precoce delle situazioni a rischio permetta di ridurre gli arresti di sviluppo e le patologie della prima infanzia in armonia con il famoso detto che PREVENIRE è meglio che CURARE.

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