Come riconoscere l’autismo nei bambini

Come riconoscere l’autismo nei bambini

Parliamo di autismo…
Come riconoscere i primi sintomi di autismo nei bambini

Che cos’è l’autismo?

Tra le patologie neuropsichiatriche infantili, l’autismo è forse la più grave non solo per la serietà e complessità del quadro sintomatologico ma soprattutto perché ne sappiamo ancora poco: molti sono gli interrogativi che si pongono i genitori e a cui non sempre, o non completamente, lo psichiatra infantile, il neuropsichiatra infantile o il pediatra sono in grado di rispondere:

  • L’autismo è una patologia genetica?
  • Quali sono le cause dell’autismo?
  • Come mai negli ultimi decenni le diagnosi di autismo sono drammaticamente aumentate?
  • E poi, come si cura l’autismo?
  • Si può guarire dall’autismo?
  • C’è una componente ambientale sulla quale possiamo agire per impedire l’insorgere o almeno l’aggravarsi della patologia, oppure un bambino che ha una ancora non identificata predisposizione genetica all’autismo è inesorabilmente condannato a diventare autistico?

Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

  1. Tipi di autismo

Di autismo esistono moltissimi tipi.

Nelle categorie diagnostiche internazionali, l’autismo rientra nei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo di cui fanno parte il Disturbo Autistico, il Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza, la Sindrome di Asperger, la Sindrome di Rett, il Disturbo pervasivo dello Sviluppo non altrimenti Specificato (DPSNAS).

Si parla di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo perché i bambini presentano gravi difficolta nella relazione e nella comunicazione (la parola, lo sguardo), associate alla difficoltà nella regolazione dei processi fisiologici, sensoriali, attentivi, motori, cognitivi, somatici ed affettivi come il gioco, il controllo sfinterico, la coordinazione motoria.

Tuttavia la compromissione di tali funzioni e l’arresto di tali processi evolutivi è estremamente variabile: si passa dalle sindromi conclamate ben note in letteratura ad esempio la sindrome di Asperger, o la grave sindrome di Rett (si tratta di una grave malattia neurodegenerativa che presenta un quadro sintomatologico di tipo autistico) fino a forme di autismo al limite o di cosiddetto autismo lieve.

È questo il motivo per cui molti clinici preferiscono utilizzare, per i bambini fino a due anni, non la diagnosi di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo (DPSNAS) ma quella di Disturbo Multisistemico dello Sviluppo (DMSS), includendo in questa categoria tutti i bambini che presentano difficoltà più o meno gravi nella relazione, comunicazione, affettività e processazione sensoriale, difficoltà che si modificano man mano che lo sviluppo progredisce.

  1. Aumento delle diagnosi di autismo

Secondo alcuni studiosi, l’aumento delle diagnosi di autismo è da ricercarsi proprio in questa labilità del confine: se cinquant’anni fa veniva considerato autistico solo un bambino con un quadro sintomatologico conclamato, al giorno d’oggi si parla Disturbo Multisistemico dello Sviluppo o di disturbo dello spettro autistico, e nella diagnosi si includono tutte quelle forme dubbie o di autismo lieve, che indicano soprattutto quelle in cui la sintomatologia è parziale o non incide pesantemente sulla vita del bambino soprattutto in termini di autonomia, di raggiungimento di tappe evolutive e di integrazione sociale.

Secondo altri esistono delle componenti ambientali-relazionali che possono incidere sullo strutturarsi di difese patologiche che possono poi cronicizzare e dare origine all’autismo.

Ipotesi di farmaci o vaccini come causa della malattia sono prive di qualunque fondamento scientifico.

  1. Cause dell’autismo

Per quanto non si possa escludere, a priori, una componente genetica che non sia ancora stata individuata, oggi l’autismo viene considerato una sindrome di origine neurobiologica, ad indicare che modelli comportamentali sbagliati, difese patologiche, modelli di attaccamento o di relazione disfunzionali, se introiettati quando il bambino è molto piccolo e il suo sistema nervoso centrale è in evoluzione, possono diventare stabili e fissi in quanto possono modificare permanentemente le sinapsi neuronali.

  1. “Autismo neonatale”

Non tutti sanno che i bambini appena nati, fino ai due mesi di età, sono fisiologicamente chiusi in un guscio che li protegge dal mondo esterno, si parla, a quest’età, di autismo fisiologico.

I neonati hanno, infatti, una soglia di percezione molto bassa nei confronti degli stimoli interni (un neonato piange angosciato appena sente lo stimolo della fame o se ha un dolore fisico); al contrario, nei confronti degli stimoli esterni la soglia è altissima. Un bambino appena nato può dormire anche venti ore al giorno, anche in ambienti molto rumorosi, incurante degli stimoli esterni, come a voler mantenere, nell’attesa che alcune funzioni cerebrali completino il loro sviluppo, l’ambiente protetto dell’utero. Verso la fine del secondo mese, questo guscio protettivo inizia a schiudersi ed il bambino comincia ad aprirsi al mondo: risponde agli stimoli, interagisce, sorride se gli si sorride e così via.

In alcuni casi il guscio non si rompe. In altri, il guscio si rompe per poi essere ricostruito.

In questi casi al termine di autismo neonatale si preferisce quello di ritiro sociale o ritiro neonatale.

Cosa si intende per ritiro? Il ritiro è un comportamento di difesa, una manovra di ripiegamento in sé stessi di fronte al pericolo che è parte del primitivo sistema di attacco-fuga che protegge ogni essere vivente quando si sente minacciato o quando percepisce l’ambiente come ostile. Pensiamo alla tartaruga che si rintana nel suo guscio, oppure agli animali che rimangono immobili in presenza dei predatori o ai mammiferi che durante l’inverno riducono al minimo le funzioni vitali e vanno in letargo.

Il ritiro quale comportamento difensivo di ogni essere vivente e quindi anche dell’uomo, entro certi limiti, non ha nulla di patologico. Tale difesa è molto evidente in particolar modo nei bambini quando sono ammalati, stanchi o nell’addormentamento.

Genitori, pediatri e tutti coloro che hanno a che fare con i bambini piccoli sanno di cosa si tratta e comprendono che un bambino in quello stato possa non avere voglia di parlare, di giocare, di interagire.

Se però la difesa del ritiro viene utilizzata in modo pervasivo e persistente allora rappresenta un importante campanello d’allarme.

  1. Come ci si ammala di autismo?

L’autismo può manifestarsi in maniera imprevedibile o, viceversa, subdola e progressiva, solitamente entro i primi due anni di vita.

Può accadere che un neonato non raggiunga mai le tappe di sviluppo attese, non riesca mai a rompere del tutto il guscio protettivo dei primi due mesi di vita e quindi non cerchi il contatto visivo, non interagisca con l’ambiente oppure non raggiunga mai la comunicazione preverbale.

Altre volte può accadere che all’interno di un processo evolutivo nella norma, ad un tratto lo sviluppo si arresti, o addirittura che il bambino possa perdere delle competenze che aveva acquisito (ad esempio inizia a pronunciare alcune parole e poi cessa di parlare).

Nonostante la maggior parte delle diagnosi di autismo venga fatta attorno ai quattro anni, i primi sintomi possono manifestarsi molto precocemente: bisogna fare attenzione ai primi segni di autismo che spesso sono sottovalutati o peggio ignorati.

  1. Primi sintomi di autismo

È essenziale individuare i primi segnali di autismo.

I primi sintomi di autismo (o meglio di ritiro) possono essere evidenti prima dei due anni, elenchiamone alcuni:

  • il volto inespressivo, poco mobile, lo sguardo triste, i bambini sembrano poco interessati triste all’ambiente che li circonda
  • i bambini non stabiliscono il contatto visivo con l’osservatore
  • la loro attività corporea spontanea è ridotta
  • possono non reagire agli stimoli (a volte neanche al dolore fisico)
  • la lallazione e la vocalizzazione possono essere ridotte o assenti
  • possono non piangere mai o, al contrario, piangere a lungo e in modo inconsolabile
  • non mostrano curiosità, piacere nei confronti delle persone presenti nell’ambiente e neanche disagio nei confronti degli estranei
  • per cui tali bambini non sono attraenti per l’adulto e si tende a dimenticarli. Anzi, se il ritiro è grave, si ha l’impressione di essere tenuti a distanza.
  1. Dall’autismo si può guarire?

È una domanda complessa a cui rispondere. Ciò che è certo è che nei casi in cui si sospetti un autismo non bisogna perdere tempo.

In età evolutiva un intervento precoce e mirato può bloccare sul nascere lo strutturarsi di difese e di modelli di relazione e di comportamento fissi.

Nel nostro studio di psicoterapia e psichiatria lavoriamo attraverso interventi mirati che, a seconda dell’età del bambino e della situazione contingente, coinvolgono la famiglia, la coppia madre-bambino, il bambino.

Se infatti consideriamo il ritiro non come una patologia strutturata ma come una difesa patologica, ossia una modalità di adattamento ad un ambiente non sintonico che l’individuo mette in atto per garantirsi la sopravvivenza, allora se l’intervento è precoce tale difesa è suscettibile di rapida regressione e cambiamento, se le condizioni ambientali si modificano e tornano ad essere favorevoli, altrimenti può cronicizzare e strutturarsi in autismo.

  1. Come si cura l’autismo?

Escluse le cause organiche, l’intervento è di tipo psicologico.

Premesso che la psicoterapia del bambino autistico e il parental training sono essenziali a tutte le età e che devono sempre affiancare tutti gli altri interventi normalmente consigliati nei protocolli di trattamento (logopedia, psicomotricità eccetera), tuttavia la consultazione psicologica, o meglio, la psicoterapia del bambino e dei genitori, rappresenta il trattamento di prima scelta nella prima infanzia.

A seconda delle specificità del caso e dell’età del bambino, si può procedere attraverso tre tipi di intervento:

  1. Psicoterapia genitori-bambino o psicoterapia madre-bambino: nei neonati e nei bambini fino ai 18- 20 mesi circa. Tale intervento ha lo scopo di agire sull’ambiente in cui il bambino vive e individuare e correggere eventuali disfunzioni nella relazione o, più semplicemente, nella comunicazione madre-bambino o genitori-bambino che possano aver favorito l’instaurarsi della difesa del ritiro. È fondamentale individuare e smontare tale difesa, nella sua forma sia lieve che grave, per rimettere in moto il processo evolutivo.
  2. Parental training. Si tratta di un tipo di psicoterapia dei genitori centrata sulle funzioni genitoriali e sul rapporto con il bambino; può aiutare i genitori a comprendere le esigenze di quello specifico bambino e a rendere l’ambiente più consono al suo sviluppo e la relazione più fluida. A questo proposito non è superfluo ricordare che non tutti i bambini sono uguali. Pertanto ciò che vale per un bambino può avere un impatto completamente diverso su un altro bambino: ad esempio un allattamento breve o molto lungo o un inserimento precoce al nido o un lutto familiare possono essere tradotti da un bambino nei termini di un ambiente poco responsivo o poco accudente o invadente, questo al di là delle ottime intenzioni dei genitori!
  3. Psicoterapia del bambino. In cosa consiste la psicoterapia dei bambini piccoli? Noi utilizziamo la psicoterapia psicodinamica o psicoanalitica: attraverso sedute di gioco si lavora sulle difese, sulla comunicazione, sulla struttura del sé, sulla distinzione tra mondo interno e mondo esterno, sull’immagine corporea, sulla distinzione tra animato ed inanimato, questo, ovviamente, a seconda di ciò che è emerso nelle sedute di diagnosi, delle fragilità del bambino e dei blocchi evolutivi presenti.

Lucia Maulucci

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